Partiti al capolinea? Ruffini: "Non ancora ma qualcosa va cambiato" Il Pd? "E' il meno peggio"

TERAMO – I partiti fanno politica o la politica si fa per far sopravvivere i partiti? E se sì, sono ancora uno strumento per incidere sulla società? In un momento in cui la contrapposizione politica sembra sfumare, e più arroccata su fronti da mantenere, ci chiediamo se il partito vada superato nelle sue forme e nei sui metodi o se può essere riproposto in forme nuove. Ad esempio le fondazioni-partito. E ancora quali soni le “colpe” della politica? Come si alza la sua qualità? Emmelle.it ha chiesto una riflessione ad alcuni dei principali interlocutori politici del territorio e sarà lieta di ospitare i contributi che i lettori vorranno sottoporci. Intanto una prima riflessione è quella di Claudio Ruffini, consigliere regionale del Pd:

“Sono convinto che i partiti, chiamati a tracciare prospettive e progetti di largo respiro, possono ancora dare un contributo alla politica. Lo hanno fatto in passato, con luci e ombre, ma resto convinto che il partito sia l’unico strumento in cui le idee possono trovare un luogo di confronto e sintesi. Oggi osserviamo il fatto che dopo la crisi dei grandi partiti (penso al Pci, al Psi e alla Dc), non c’è stato un rilancio e sono piegati più a esigenza di chi li rappresenta che di coloro che invece devono essere rappresentati. C’è un problema fondamentale, ed è quello della rappresentanza: gli iscritti vedono il partito come un “club” se non a volte un “clan” con sistemi di favori e clientele troppo radicate. Io credo – prosegue Ruffini – che vada recuperata l’idea del partito aperto ad una rappresentanza più ampia, ma va superata l’idea del partito come una sorta di agenzia. E’ chiaro che rispetto al passato viviamo una fase diversa, le strutture territoriali si vanno pian piano sgretolando, ma la territorialità può essere anche sostenuta dalle nuove forme d’aggregazione, penso ad esempio ai movimenti che nascono su Facebook, anche il social network è un luogo di confronto”. Ma il problema per Ruffini non è solo di rappresentanza. “Manca una classe dirigente, manca la formazione. Prima c’erano le scuole di partito, ma la crescita avveniva anche facendo la vita di partito. Oggi manca la volontà, l’organizzazione si è semplificata e la formazione non fa comodo a chi vuole ‘arrivare’ velocemente”. Il Pd come si colloca in tutto questo? Ha delle diversità genetiche? “Il Pd si era proposto come un partito nuovo che coniugava la partecipazione territoriale alla convivenza di culture e anime diverse al suo interno. Quel progetto è stato tradito, ma resto convinto tuttavia che al momento sia il partito che ha maggiore vivacità e forme di partecipazione più ampie, penso ad esempio al ricorso alle primarie per la scelta delle figure da candidare. In un certo senso è il meno peggio”.